Consulenze sulla Prevenzione e sul Mantenimento della Salute Naturale
Domenico Ponticelli
NATUROPATA

L'unica cosa che chiedevo ad un malato era che avesse fiducia in me come io cercavo di aver fiducia nella fonte dei miei poteri "miracolosi".

[Gesù Cristo]

28/03/2024

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Il labirinto

un tempio è una creatura che deve evolversi, una pianta che ha bisogno d'una forza viva per svilupparsi ritmicamente e ripetitivamente.

Tratto dagli Annali dell'Akasha
"Il Giusto mi ha dato un messaggio per te. Sai bene che abbiamo fatto tutto il possibile per sviluppare in te certe capacità e che ti abbiamo sondato a più riprese per sapere su quale via il Padre ti stava aspettando; ora crediamo di saperlo, e data la tua partenza ormai prossima dobbiamo sottoporti a delle prove relative a quanto si sta svegliando in te... Mi capisci? Devi sviluppare la tua volontà. Quando Dio semina un dono nel cuore d'un neonato, lo fa con la speranza che esso non venga coperto dalla polvere del Tempo.

Non approfittare d'una possibilità è come lasciare incolto un terreno fertile o disprezzare un tesoro: che penseresti di un uomo i cui figli hanno fame ma che è talmente pigro da non chinarsi a raccogliere l'oro che la Forza eterna gli mette davanti agli occhi ad ogni svolta?

L'esistenza di ognuno ha uno scopo ben preciso. L'uomo impari a cantare la melodia che le stelle ed il Padre gli hanno scritto dentro. Per questo, Fratello, avrai tre giorni di tempo ... tre giorni, in un luogo che non conosci, al buio completo, da cui dovrai trovare il modo di uscire da solo, così come dovrai uscire dalle tue paure, verso la luce... Quando vorrai, le mie parole ti torneranno in mente."

Venne la sera, e i gufi che solevano sorvolare il Monastero poterono vedere due ombre attraversare il cortile principale; un Fratello molto più giovane di quello che mi aveva istruito sulla prova imminente mi accompagnò in un punto del monastero in cui si andava di rado, una saletta colma di manoscritti antichi che esalavano un vecchio e simpatico odor di polvere, un odore quasi vivo.

Un Fratello ci rinchiuse la porta alle spalle, una porta che un enorme rudimentale catenaccio chiudeva accuratamente; in un angolo della stanza c'era un cofano in legno: nascondeva una lastra di pietra più grande delle altre che il Fratello sollevò con il gancio di metallo che si era portato dietro.

In quel momento non capii né cosa stava succedendo né dove ero diretto, perché alla vista del buco nero e spalancato fui colto più dalla curiosità che dall'inquietudine; non credo fossi conscio del fatto che avrei dovuto stare tre giorni là dentro, sottoterra, a risolvere un problema di cui non mi era chiaro neppure l'enunciato.

Il Fratello svolse nell'apertura una lunga corda più o meno intrecciata che aveva con sé, e ne bloccò un capo sotto la lastra della botola; poi mi prese dolcemente il volto fra le mani dicendo: "Tre giorni, non ti chiederemo di più. Che tu possa prima del termine trovar l'uscita del sotterraneo e tornare all'aperto con le tue sole forze".

Pronunciò ancora una breve preghiera sottovoce e mi abbracciò per pochi secondi come mi avevano abbracciato un tempo i miei genitori; riprese il capo della corda perché potessi calarmi in quel pozzo oscuro, probabile rivelatore del mio essere più segreto.

Penetrai quella sera nel ventre del Monastero con la mente annebbiata, e la discesa pareva non finire mai sebbene il pozzo non dovesse esser più profondo dell'altezza di tre o quattro uomini: quando finalmente toccai una terra umidiccia coi piedi, lasciai la presa; udii solo le brevi parole del Fratello che mi chiedeva se ero arrivato e il cigolio della lastra rimessa a posto... e un rumore sordo, secco e improvviso, che i muri della mia prigione riecheggiarono senza pietà, quello della botola definitivamente richiusa.

Mi toccai meccanicamente il fianco sinistro, da cui pendeva un piccolo otre con l'acqua e una galletta d'orzo: non ricordo cos'altro feci, ma nello spazio d'un istante compresi tutto il significato, la nera e appiccicosa densità della parola "solitudine".

Ero a disagio non tanto per il buio quanto perché mi ritrovavo solo con me stesso, sospeso tra quello che credevo di essere e quello che avrei voluto essere; i Fratelli mi avevano raccomandato la pratica delle grandi inspirazioni in tutti i momenti di turbamento, ma non sapevo neppure d'essere turbato: tutto era ancora da capire, e dovevo farlo subito per potermene andare al più presto; e poi, c'era un odore, un sentore di muffa nell'aria.


Da qui in poi termino volutamente il racconto per permettere a te lettore una riflessione su quanto appena letto e, sulla base della tua esperienza personale, una meditazione su come avresti reagito in una situazione come quella che sta vivendo il protagonista della storia, nonché su come stai reagendo e come invece potresti reagire nella situazione attuale che stai vivendo in questo particolare momento storico.


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